Ottavo giorno prima delle Calende di luglio
Aurelio era seduto nella penombra del tablino, davanti a una coppa di cervesia, e aspettava: sapeva che sarebbe venuto.
Schiavi e famigli avevano avuto ordine di occultarsi, lasciando il loro signore solo nella grande sala, già rischiarata da una lucerna appesa al soffitto. Non era ancora scesa la notte quando il patrizio udì bussare e, senza fretta, attraversò l'atrio silenzioso fino al grande portone di legno.
-Ave, Sergio.
- Ave, Publio Aurelio.
Le voci, fredde, avevano la stessa calma determinazione di quelle dei gladiatori che si salutano nell'arena, prima dello scontro finale.
- Sei solo, e senza scorta - constatò Aurelio, un po' stupito, e il rilievo suonò come un atto di omaggio.
- Pensi che abbia paura? - chiese Maurico, sprezzante.
No, Maurico non temeva nulla: un uomo famoso, ricco, arrivato, che rischia tutto in una folle avventura, non è il tipo da tremare di fronte a un semplice procuratore di Cesare, pensò Aurelio; e, in faccia al suo nemico, avvertì nelle vene un brivido eccitato, l'accendersi di un istinto antico di soldato e predatore che tanti torni di filosofia non erano riusciti a sopprimere.
“Non sono meglio di un reziario che sta per gettare la rete”, si disse. “E lui è come me: gode a esporsi al pericolo, a portarsi con la sua sica sotto al mio tridente”. Per un attimo, gli sembrò persino di intuire perché tanti uomini liberi rischiavano la vita nell'arena...
- Così hai mandato all'aria il giro di scommesse, senatore Stazio, e mi hai sottratto anche la piccola Nissa. Pochi hanno osato tanto, ma non credere di andar lontano: il nome di Cesare, di cui ti fai scudo, non ti rende invulnerabile. E non pensare di avermi dato tanto fastidio: avrai il tuo daffare a dimostrare che dietro la truffa dei giochi ci sono io. Del resto, se anche per caso ci riuscissi, me la caverei lo stesso. Ho molte risorse.
- Non lo dubito, potente Maurico - riconobbe Aurelio. - Ma allora perché vieni da me in piena notte, furtivo come un ladro di polli?
Sergio si morse le labbra, livido.
- Non cercare di misurarti con me, senatore. Hai fatto male a offendermi, quando venivo da amico. Percorriamo da sempre strade diverse, tu e io, e ci siamo incontrati per caso. Potremmo continuare a ignorarci a vicenda, con buona pace di entrambi. Non ti sottovaluto, Publio Aurelio, bada bene: per questo sono qui. Di certo non puoi fermarmi, ma riusciresti a procurarmi un sacco di noie, se proprio ti ci mettessi. E a che scopo? Hai già arrestato Aufidio per le scommesse e sai perché Chefidone è stato ucciso. Sai anche chi è stato ad ammazzarlo: Turio. Claudio sarà ampiamente soddisfatto, e giustificare la morte di un altro paio di gladiatori non ti sarà difficile, se ti consegnerò il servo fuggito dalla caserma...
- Il Lurido di Mutina. Cadavere, naturalmente. Mi è difficile fidarmi di te, Sergio, vedendo che preferisci pagare col ferro, anziché con l'oro, i tuoi sicari.
- Bestie, assassini, macchine addestrate a uccidere: sono solo strumenti, la loro vita non vale nulla. Per te è diverso, senatore, so con chi ho a che fare. Hai parlato di oro, possiamo metterci d'accordo.
- I miei forzieri sono zeppi, Sergio, e non devo incendiare case per riempirli, né taglieggiare i poveracci o mandar gente a morire nell'arena.
- Lo so. Tu sei nato ricco e nobile, discendente da una stirpe antica di padroni e condottieri! - esclamò Sergio con astio. - Io, invece, ho dovuto arrangiarmi per mettere le mani su tutto quello che tu hai sempre avuto per diritto di sangue. E ti assicuro, mio aristocratico patrizio, che non c'è poi molta differenza tra il modo con cui i tuoi illustri antenati hanno accumulato il loro patrimonio e io il mio. Non permetterti, quindi, di sentirti migliore di me! Io sono fondamentalmente un uomo giusto; la gente ricorre a me per sanare difficoltà, riparare a dei torti, riportare l'ordine là dove la legge non può o non vuole arrivare. Nel far questo, talvolta ho dovuto agire con arbitrio, arrogandomi il diritto di decidere senza tener conto degli ordinamenti di questa sacra repubblica, che da un pezzo repubblica non è più, ma solo l'immenso patrimonio di un uomo solo... e non dirmi che ognuno deve inchinarsi umilmente al diritto, perché tu stesso non sempre lo hai fatto.
Aurelio lo guardava, tacendo: Sergio era un ladro, un soverchiatore, un assassino, e si sentiva l'alfiere della giustizia!
- Senatore, sono venuto a parlarti da pari a pari. Siamo entrambi liberi cittadini romani e stiamo solo discutendo un affare. Io voglio che tu la smetta di puntarmi come un cane che fiuta il cinghiale e sono disposto a trattare con te, perché tu mi lasci in pace. Dimmi il tuo prezzo e lo pagherò, sia esso in sesterzi o in vite umane, ma non cercare di impedirmi di prendere quello che mi spetta!
- Tra quel che ti spetta, c'è anche la vita di Cesare? - chiese Aurelio, gelido.
Il volto di Maurico, immobile come la pietra, rivelò un unico, impercettibile tremore all'angolo della bocca.
- Volevi far uccidere Claudio - incalzò duro il patrizio.
- Questo lo dici tu, senatore Stazio; però, per tua sfortuna, non potrai mai dimostrarlo. Mi spiace, mi spiace veramente... so che godresti nel vedermi al patibolo, tuttavia non avrai questa soddisfazione. Nissa non parlerà, stanne certo.
- Ne sei troppo sicuro - lo contraddisse Aurelio, pensando che la mima era sotto protezione nel suo cubicolo...
- Conti eccessivamente sul tuo fascino virile, senatore; dote che indubbiamente possiedi, almeno a sentire mia sorella Sergia! - rise l'avvocato. - Ma l'animo delle donne è contorto, e ci sono cose che non immagini neppure... dammi retta, lascia perdere: va' da Cesare, raccontagli dei giochi truccati e consegna Aufidio nelle mani del boia.
- Le scommesse non erano che una copertura: ti servivano soltanto per confondere i tuoi veri piani, di cui il lanista era all'oscuro - ragionò il patrizio, cupo. - Eliodoro era il tuo vero complice, in scuderia: è lui che mandasti a spargere il panico tra i gladiatori, quel giorno, per costringere Claudio a uscire dal ridotto. Fu tua sorella a portargli l'ordine!
- Ahimè, Eliodoro è morto - finse di sospirare l'avvocato. - E se fossi nei tuoi panni, non turberei Cesare con tutte queste storie di congiure: potrebbe pensare che la tua immaginazione corre troppo... Adesso me ne vado, non vorrei si spargesse la voce che frequento un povero visionario. In quanto a te, pensaci: se vuoi la guerra, per me va bene, sono abituato a vincere.
Aurelio non tentò nemmeno di rispondere. Stava per perdere la partita, ma, caparbiamente, non si risolveva ad arrendersi.
Attese che Sergio sparisse nel buio e di getto, come preso da un oscuro presentimento, corse al cubicolo di Nissa.
Nella stanza aleggiava ancora il profumo sottile della donna e sul letto vuoto la mangusta raggomitolata pareva un cuscino di pelo: della mima nessuna traccia. La finestra d'alabastro, che dava sull'orto del retro, era aperta.
Fuori, a ridosso dell'alto muro che isolava la grande domus dal caos cittadino, il caprifoglio abbarbicato sulle pietre era spezzato in più punti e un ramo rotto, penzolante nel vuoto, testimoniava il punto preciso del passaggio della fuggitiva.
- Disgraziati, ve la siete lasciati scappare! – tuonò Aurelio ai due liberti, dopo averli convocati. Paride e Castore, vergognosi, abbassarono gli occhi.
- Domine, ci hai detto di proteggerla, non di tenerla prigioniera - tentò di giustificarsi Castore. - Tu stesso non hai pensato neppure per un attimo che potesse scappare di sua volontà. Eppure, non c'è dubbio: arrampicarsi sul muro esterno per penetrare nel nostro cortile è quasi impossibile; facile, invece, è uscirne, come Nissa ha indubbiamente fatto.
- Saltando da lassù, avrebbe rischiato di rompersi la testa - obiettò Aurelio, che, pur convinto dal ragionamento del greco, riluttava ad ammettere di essersi fatto giocare in quel modo.
- Non se qualcuno fosse stato di sotto ad aiutarla...
- Perché, Numi dell'Ade, è fuggita, sapendo che Maunico la cerca per ucciderla? E io ve l'avevo affidata! Dovrei mettervi tutti alla frusta, buoni a nulla! - gridò Aurelio esasperato, pur sapendo, sotto sotto, che la colpa non era dei servi.
- Nessuno si è accorto della sua assenza, domine: si è ritirata presto, dicendo che voleva dormire - intervenne Paride.
- In tutto il giorno non era uscita dalla sua stanza, se non per recarsi un paio di volte alla latrina... - aggiunse Castore.
- Qualcuno deve averla indotta ad andarsene – concluse il patrizio. - Non era il tipo da decidere da sola una fuga tanto pericolosa.
- In casa c'erano solo i servi, padrone, e in tutto il pomeriggio non abbiamo avuto visite, se si eccettuano le tessitrici incaricate di rinnovare le tende - affermò Paride.
- Mandami le ancelle, presto! Voglio sapere se hanno visto Nissa parlare con una di quelle operaie! - ordinò Aurelio, sospettoso.
Sì, in effetti la mima aveva scambiato poche parole con una cucitrice, apprese poco dopo, ma in fondo si trattava solo di una donna, e comunque non era mai stata persa d'occhio un momento. D'altra parte, come potevano supporre dei poveri schiavi, incaricati di proteggere la fanciulla da un eventuale nemico intenzionato a portarla via a forza, che scappasse di sua volontà, se nemmeno lui, il dominus, ci aveva pensato?
Una donna, dunque, e abbastanza importante per Nissa da spingerla a correre un simile rischio... “Ci sono cose che non conosci”, aveva detto Sergio, poco prima. E Nigro non aveva forse parlato di una donna, raccontando come la mima era sfuggita al suo primo lenone?
Aurelio ripensò alla mimula sdraiata al suo fianco, alle carezze meccaniche, fredde, fatte quasi per dovere, con la partecipazione studiata delle cortigiane di mestiere, che dagli uomini hanno conosciuto solo violenza e volontà di dominio. Ma se, invece di un maschio estraneo e nemico, qualcuno del suo stesso sesso si fosse mostrato dolce, piacevole, affettuoso? Se la piccola prostituta sfruttata avesse trovato pace e conforto tra le braccia salde e rassicuranti di un'altra femmina, non si sarebbe allora fidata ciecamente di lei?
Ad Aurelio parve di vedere Nissa che usciva dall'insula con la sua compagna, abbandonando per sempre il rude Vibone: per lei la ragazza aveva osato sfidare la collera del lenone, rischiando di esser riportata indietro a pugni e schiaffi, e in cambio aveva ottenuto protezione, fama, ricchezza e, soprattutto, amore: o almeno, così quell'ingenua aveva creduto fino all'ultimo.
Il patrizio si rivide davanti Sergia, la sorella di Maurico, forte, sicura, rotta a ogni esperienza: se non aveva esitato davanti all'incesto, avrebbe forse risparmiato un'altra donna, debole, sperduta, pronta a mettersi fiduciosamente nelle sue mani? Ed ecco perché Maurico era tanto sicuro che Nissa non avrebbe tradito...
- Sì, era lei di certo - concordò Castore, inquieto.
- Ma con quale pretesto Sergia l'avrà indotta a uscire a rischio della vita? - si tormentava Aurelio.
- Padrone, forse è una supposizione sciocca, eppure... - azzardò il greco.
- Dimmi! - lo incalzò il patrizio, che a quel punto era pronto ad accettare anche l'ipotesi più fantasiosa.
- Che altro motivo avrebbe potuto spingere quella ragazza a lasciare il sicuro rifugio delle tue mura, domine, se non l'unica cosa a cui tenesse veramente, il successo che le aveva permesso di elevarsi dal lupanare alle scene? Nissa non era quel che si dice un genio, padrone, e se l'astuta Sergia l'avesse convinta che doveva presentarsi allo spettacolo, pena la perdita del favore del suo pubblico...
- Non so se hai ragione, Castore, però intendo accertarmene. Corriamo a teatro, presto! - ordinò Aurelio, precipitandosi fuori.
Al teatro di Pompeo, Aurelio dovette farsi largo a gomitate in mezzo alla folla in tumulto che attendeva da un pezzo la comparsa della diva.
Gli altri artisti della compagnia, dopo un timido tentativo di intrattenere gli spettatori furiosi con qualche numero fuori programma, si erano asserragliati nei loro camerini, in attesa che un improbabile intervento dei vigili notturni li liberasse dall'assedio.
A un tratto corse voce che lo spettacolo sarebbe stato rimandato e il pubblico, dagli spalti, prese a protestare minaccioso con fischi e schiamazzi: alcuni si erano messi in coda dalla sera prima, per procurarsi un posto, e non avrebbero certo rinunciato facilmente a vedere la loro beniamina.
Aurelio, malgrado la sua autorità di magistrato, non fece alcun tentativo di calmare quella massa inferocita, e riguadagnò a stento la porta con qualche contusione, augurandosi che Castore riuscisse a cavar fuori qualcosa di meglio dall'ispezione nel ridotto.
Per fortuna, pensò uscendo dal teatro, aveva lasciato la portantina a ridosso del boschetto di platani, abbastanza lontano dall’ingresso.
La raggiunse in fretta, incurante del mantello che si infangava nell'erba, mentre con gli occhi spiava nel buio alla ricerca dei suoi nubiani, augurandosi che la folla non scegliesse proprio quel momento per riversarsi nel piazzale: tutti sapevano che le lettighe di lusso erano sempre le prime a esser prese di mira durante le sommosse... Questa, però, sembrava al sicuro, e fuori dalla vista, coperta com'era dalle fronde di alcuni cespugli di alloro.
Il senatore vi entrò in fretta, gettandosi veloce sui cuscini, mentre già dal teatro stavano avanzando i primi facinorosi. Un gruppo di esaltati passò correndo nel vialetto accanto, mentre il patrizio attendeva immobile al riparo delle cortine. Con cautela, respirando appena, si distese meglio sotto la coperta, per nascondersi totalmente alla vista degli scalmanati che rumoreggiavano poco lontano; allungò la gamba tra i morbidi cuscini di seta e avvertì qualcosa di freddo e di molliccio, mentre la mano, nell'oscurità, ne sfiorava un'altra, delicata e inerte.
Il senatore si sentì agghiacciare quando le dita, risalendo a tentoni lungo il braccio nudo, toccarono il piccolo seno a punta e la massa di riccioli induriti dal ferro rovente. Non aveva certo bisogno di una lucerna per riconoscere quel corpo tanto famoso, tanto ammirato...
Aurelio si mosse appena e sentì il cadavere di Nissa cadergli addosso, col capo penzolante sul collo spezzato che gli si appoggiava alla spalla in una tardiva richiesta di aiuto. Non era stato capace di salvarla, pensò con rimpianto, ma immediatamente riprese il suo sangue freddo: no, quello non era il momento di cedere ai rimorsi; doveva andarsene subito, se lo avessero trovato lì, accanto al cadavere della loro dea, quei fanatici lo avrebbero fatto a pezzi.
Cercò di sgusciare fuori... troppo tardi, si stavano già avvicinando! Trattenne il fiato, chiedendosi se il tremendo Tartaro, in cui non aveva mai creduto, non esistesse davvero.
- Là c'è una lettiga, andiamo a vedere! - urlava in quel momento uno degli invasati ammiratori della diva, giungendo con un calpestio affrettato proprio davanti alla cortina di seta.
Aurelio strinse i pugni, deciso a difendersi a mani nude dal furore della folla.
La cortina fu strappata con uno schianto secco, e il patrizio si preparò a scattare.
- No, è laggiù in fondo, la vedo! - gridò una voce. - Stanno per rapirla, aiutatela, presto!
Senza nemmeno chinare lo sguardo, l'energumeno che aveva lacerato la tenda si lanciò al salvataggio della bella, seguito da un drappello di accoliti urlanti. La massa umana voltò le spalle alla lettiga, come un fiume impazzito che all'improvviso si metta a risalire verso la sorgente, deviato dall'imperioso comando di un dio.
- Gambe, adesso! - lo esortò la voce amica di Castore, che aveva depistato la folla.
Senza pensarci due volte, Aurelio schizzò dietro al greco verso la strada.
Quando arrivarono in vista del Foro, dopo aver attraversato mezza Roma di corsa, nessuno avrebbe potuto riconoscere il nobile Publio Aurelio Stazio, procuratore di Cesare e senatore di Roma, nell'uomo sporco e scarmigliato che si arrestò all'improvviso dietro al muro di gente che sembrava essersi data convegno proprio in quell'ora notturna.
- Che succede? - chiese preoccupato al gigante che gli impediva la vista.
- I pretoriani! Cesare li manda a difendere il suo sicario, quello Stazio che ha ammazzato Nissa. Stavamo dirigendoci a casa sua, a conciarlo per le feste! - spiegò l'omaccione in tono furente.
- Il senatore Stazio, che dici? - protestò Aurelio, esterrefatto. - Ma se è un uomo onestissimo, al di sopra di ogni sospetto...
- Chi, quel ladro? Non lo sai a che prezzo si vende lo stagno portato qui dalle sue navi? E imbosca anche il frumento, per aumentarne il costo. Non gli bastavano i milioni di sesterzi che ha ereditato, doveva far fruttare i soldi, lui, alle spalle dei poveracci... tutta Roma sa che è un corrotto e un depravato. Vieni con noi, gliela faremo pagare!
Aurelio, col suo senso dell'ironia, non riuscì a impedirsi di trovare alquanto ridicolo l'invito, e insistette: - Lo conosci bene, eh? Sarà stata dura avere a che fare con un simile delinquente...
- In effetti, fino a stasera non lo avevo mai sentito nominare, ma ci hanno pensato quelli che hanno trovato Nissa ammazzata nella sua lettiga, a spiegarci chi era.
Sergio aveva dato mano libera ai suoi scherani, per aizzargli contro la plebe, comprese infine Aurelio. Gli uomini - il senatore lo sapeva bene - anche i più onesti e accorti, quando vengono intruppati come un gregge di pecore, sono pronti a credere a qualunque fandonia che venga ripetuta a lungo e soprattutto in coro, e sposano le cause più assurde pur di non provare la fastidiosa sensazione di nuotare controcorrente. Così si spingevano i soldati ad andare felici alla guerra, così si vincevano le elezioni...
Castore, intanto, lo fissava con occhi ansiosi, strizzandosi nervosamente la tunica in attesa di poterla sostituire col collo di quell'incosciente del suo padrone: cosa aspettava quell'irresponsabile a darsela a gambe?
Però, ormai, Aurelio era scatenato.
- Perché andate a cercarlo a casa sua? - esclamò indignato. - Non sapete che si è rifugiato da Maurico? I pretoriani non si aspettano certo che andiate a stanarlo fin là... Presto, seguitemi alla domus dei Sergii; lo snideremo, quel porco! - gridò, e il bellicoso corteo cambiò rotta, dirigendosi verso l'Aventino.
- Che gli Dei ti strafulminino, padrone; credi forse che possiamo imbrogliare a lungo tutta Roma con questi scherzetti? Ci è già andata bene due volte... - protestò Castore, mentre svicolavano in una viuzza secondaria.
- D'accordo, basta! Ho voluto provare anch'io, dopo che a te il gioco era riuscito così facilmente davanti alla lettiga... - rise Aurelio, con un sospiro di sollievo.
- Adesso, comunque, non puoi certo tornare subito a casa. Sergio non ha perso tempo: scommetto che la strada da qui al Vicus Patricius è costellata di sicari in agguato. Se non ti infilzano prima loro, lo farà certamente qualche fanatico ammiratore della povera mima!
- Sì, devo lasciar passare la notte. Ma domattina, prima che sorga il sole, vieni con un carro da fieno in fondo al Clivius Publicus. Io sarò lì ad aspettarti, e tu mi porterai in salvo coperto dalla paglia...
- E dove ti nasconderai fino ad allora? Potrebbero riconoscerti! - chiese Castore, angustiato.
- Non preoccuparti, ho anch'io qualche amico a Roma - lo rassicurò il patrizio, e si diresse verso la vecchia insula di Nigro, non dubitando di trovare ospitalità presso una certa famiglia del quinto piano, dove nessuno si sarebbe mai sognato di cercarlo.